Un’introduzione all’innovazione

Come nasce l’innovazione

Per molto tempo gli studi tradizionali hanno ignorato l’innovazione, perché veniva considerata impossibile da spiegare. Si tendeva a considerarla un fenomeno casuale. Schumpeter fu uno dei primi a criticare questa visione; nella sua concezione vi erano tre aspetti fondamentali dell’innovazione:

  1. Incertezza intrinseca a tutti i progetti innovativi;
  2. Necessità di muoversi velocemente prima che sia qualcun altro ad innovare; già questi primi due aspetti per Sc. Implicavano che le classiche regole comportamentali dell’economia (analisi delle informazioni, valutazione e ricerca della scelta ottimale) non funzionavano. Bisognava trovare strade alternative e più veloci, e ciò richiedeva una capacità di guida e una visione delle cose tipicamente imprenditoriale;
  3. Resistenza al nuovo: l’inerzia è connaturata in tutti i settori della società, rispecchiando il carattere chiuso delle conoscenze attuali rischiava di far fallire qualsiasi nuova iniziativa e costringeva gli imprenditori a faticare per far affermare i loro progetti.

Sc., almeno nelle sue prime opere, afferma infatti che l’innovazione è il risultato storico della continua battaglia tra singoli imprenditori, che propongono nuove soluzioni a problemi specifici, e l’inerzia sociale, vista in parte come endogena.

Le cose cambiano nei primi decenni del XX secolo, quando diviene evidente che le innovazioni implicavano sempre più un lavoro di squadra, e avevano luogo all’interno di grandi organizzazioni Sc. lo riconobbe nelle sue opere successive, dove sottolineò la necessità di uno studio sistematico dei processi imprenditoriali cooperativi all’interno delle grandi imprese.

Ricerca sistematica che è stata difficile da portare avanti: la letteratura a riguardo si è sviluppata negli ultimi decenni. La ricerca in questo campo conferma il ruolo che Sc. dava all’incertezza: in particolare per le innovazioni potenzialmente remunerative non si sa quali siano le fonti o le opzioni migliori da seguire, e ancor meno quali siano le possibilità di successo. Le imprese che scelgono di innovare devono prendere in considerazione il rischio rappresentato dalla “dipendenza dal sentiero scelto” (path dependency) l’impresa che abbia innovato scegliendo un certo percorso, potrebbe rimanervi intrappolata (“locked in”) per gli effetti di auto-rafforzamento, laddove si scoprisse un percorso migliore scovato da altri, quando non sia più possibile cambiare rotta. Per questo è necessario, durante la fase iniziale di un progetto di innovazione, quando non si ha ancora conoscenza di tutte le possibili alternative, non rimanere ancorati a un percorso specifico, ma essere aperti a idee e soluzioni diverse e concorrenti. Questo richiede una leadership pluralistica, che sia in grado di sondare una tale varietà di prospettive.

Ogni innovazione è una combinazione nuova di idee, capacità, qualifiche e risorse esistenti. Più grande è la varietà di questi fattori, più grande è la loro possibilità di combinarsi insieme producendo innovazioni più complesse e sofisticate. Nonostante ciò, non è detto che le imprese più grandi siano più innovative rispetto a quelle più piccole. È importante infatti anche l’interazione con fonti esterne: più le imprese riescono ad apprendere interagendo con fonti esterne, maggiore sarà la pressione sulle altre a seguirne l’esempio. Questo accresce l’innovatività e risulta cruciale soprattutto per le imprese più piccole, che devono compensare la scarsità delle loro risorse interne interagendo col mondo esterno. La crescente complessità delle conoscenze necessarie per innovare implica tuttavia che anche le imprese grandi dipendono sempre più da fonti esterne per la loro attività innovativa.

Capacità di assorbimento = saper assimilare conoscenza dall’esterno compito impegnativo sindrome del “non inventato qui” carattere cumulativo e chiuso delle conoscenze proprie a ciascuna impresa, che nella maggior parte dei casi riguardano come fare le cose in maniera incrementale. Queste conoscenze sono quindi routine riprodotte attraverso la pratica (“memoria organizzativa”) potrebbe far diminuire le capacità dell’impresa di assorbire nuove conoscenze che si creano altrove, specialmente laddove siano in contrasto con l’assetto attuale e le conoscenze dell’impresa stessa.

Organizzarsi per innovare è un compito delicato: la ricerca ha evidenziato, tra le altre cose, la necessità, per le imprese innovative, di lasciare alle persone sufficiente libertà per sperimentare nuove soluzioni e di stabilire modi di interazione all’interno dell’impresa per attivare tutta la sua conoscenza quando le si propongano delle sfide. Organizzazione che si estende anche alle relazioni con i partner esterni:

  1. Imprese con legami forti (comunicazione intensa con i partner) diretti, o indiretti attraverso un partner in comune, possono organizzarsi in reti relativamente stabili molto utili nella gestione e nel mantenimento di quell’apertura necessaria per l’innovazione. Tuttavia, anche le reti possono essere soggette alla “dipendenza dal sentiero scelto”, in quanto coloro che vi partecipano hanno una percezione comune della realtà (“pensiero di gruppo”).
  2. È utile coltivare anche i c.d. “legami deboli” = comunicazione occasionale con i partner utile per poter essere sempre in grado di cambiare il proprio orientamento, laddove se ne dovesse presentare la necessità.

La natura sistemica dell’innovazione

Quindi le attività innovative di un’impresa, nella maggior parte dei casi, dipendono da fonti esterne. In uno studio, per definire questa “impresa collettiva”, si è utilizzato il termine “sistema sociale per lo sviluppo dell’innovazione” uno dei tanti esempi di come il concetto di sistema viene applicato all’analisi delle relazioni tra le attività innovative nelle imprese e il più ampio contesto in cui sono inserite.

Uno dei principali approcci definisce i sistemi in base alle caratteristiche tecnologiche, industriali o di settore, nonché in base ad altri fattori rilevanti come le istituzioni, i processi politici, le strutture pubbliche, ecc. L’oggetto fondamentale di questo approccio è lo studio delle dinamiche tecnologiche dell’innovazione nelle sue diverse fasi, vedendo altresì come questa influenzi e sia influenzata dal più ampio contesto sociale, istituzionale ed economico.

Un altro approccio ha invece considerato la dimensione spaziale, utilizzando i confini nazionali o regionali per distinguere i differenti sistemi grande influenza dei fattori politici ed amministrativi, dato che i confini spaziali si basano su di essi.

I sistemi sono, come le reti, insiemi di attività o di attori legati tra loro gli approcci sistemici dovranno quindi analizzare questi legami.

Un sistema, diversamente da una rete, avrà più “struttura” e un carattere più duraturo. La struttura di un sistema facilita certi modelli di interazione e certi risultati, rendendone altri più difficili. Un sistema dinamico riceve anche dei feedback, che possono servire a rafforzare o indebolire il suo funzionamento/struttura, portando a un lock in (configurazione stabile), o a un cambio di rotta, o alla sua distruzione. I sistemi, dunque, come le singole imprese, possono bloccarsi in un percorso specifico di sviluppo, sostenendo un certo tipo di attività e limitandone altre. Questo può essere sia un vantaggio che uno svantaggio:

  • Vantaggio: spinge le imprese e gli altri attori che partecipano ad un sistema in una direzione che si ritiene vantaggiosa.
  • Svantaggio: se la configurazione del sistema porta le imprese a ignorare strade potenzialmente fruttuose più un sistema è aperto a stimoli esterni, minore è la possibilità che rimanga tagliato fuori da nuove strade per lo sviluppo che si trovano all’esterno. Anche per i sistemi c’è quindi il rischio che le attività di innovazione rimangano intrappolate nella “dipendenza dal sentiero scelto”.

Altro aspetto importante dei sistemi forte complementarità che generalmente esiste tra i componenti di questi. Lo sviluppo di un componente complementare critico è necessario se non si vuole rischiare di bloccare o rallentare la crescita dell’intero sistema è questa una delle ragioni principali per cui spesso intercorre un considerevole lasso di tempo tra un’invenzione e un’innovazione. Concetti di “salienti inversi” o “colli di bottiglia” per definire questo fenomeno: impedimenti non solo tecnici, ma dipesi anche dalla mancanza di infrastrutture adatte, di finanziamenti, di competenze, ecc. (es: macchina elettrica ideata molto prima della sua realizzazione, per la quale si è dovuta attendere la creazione di una batteria adeguata).

Deve poi esserci coerenza tra cambiamenti tecnologici, sociali e istituzionali: da una parte, le imprese dovrebbero considerare le più ampie implicazioni sociali ed economiche che un progetto innovativo comporta: più radicale è un’innovazione, più è possibile che siano necessari cospicui investimenti nelle infrastrutture, o che intervengano cambiamenti organizzativi e sociali. In questo caso l’impresa deve trovare il modo di unirsi ad altri agenti di cambiamento nel settore pubblico e privato. Dall’altra parte, coloro che decidono devono saper riconoscere quando un modo diverso di governare potrebbe evitare il verificarsi di “colli di bottiglia” a livello di sistema.

Le differenze nell’innovazione

Come l’innovazione cambia nel tempo e nello spazio Sc. sembra che essa si concentri non solo in certi settori, ma anche in aree e periodi di tempo determinati. I centri di innovazione hanno cambiato, nel tempo, settore, regione e paese (Regno Unito Germania Stati Uniti).

Modello marxiano-schumpeteriano della competizione tecnologica:

Marx: competizione tecnologica (da raggiungere tramite l’innovazione) è la forza motrice dello sviluppo economico. Se un’impresa in un determinato settore introduce un’innovazione con successo, questa sarà ampiamente ricompensata da un aumento dei profitti, e verrà seguita da una serie di altre imprese (imitatori) che affolleranno il settore nella speranza di condividerne i benefici, facendo diminuire i vantaggi della prima impresa. Questo affollamento provoca la crescita del settore per un certo periodo di tempo, ma prima o poi gli effetti dell’innovazione saranno sempre di meno e la crescita diminuirà.

Schumpeter: la diffusione non è qualcosa di passivo, bensì un processo creativo: è molto più probabile che gli imitatori abbiano successo laddove applichino dei miglioramenti all’innovazione originale, diventando innovatori loro stessi. Ciò è naturale, in quanto un’innovazione importante tende a facilitare o indurre ulteriori innovazioni nello stesso campo o in campi simili possibile spiegazione dei cicli economici di varia lunghezza.

Modello ripreso da teoria del ciclo del prodotto suggerita da Vernon nel 1966, la quale sostiene che la crescita industriale che segue a un’importante innovazione di prodotto si compone di stadi, caratterizzati dal cambiamento delle condizioni e del luogo di produzione. Si sosteneva che la capacità di innovare un prodotto è più importante nella prima fase, in cui ci sono tante versioni diverse del prodotto in concorrenza sul mercato. Col tempo il prodotto si standardizza, facendo così spostare l’attenzione sull’innovazione di processo, sulle economie di scala e sulla competitività di costo (cambiamenti delle condizioni di competitività). Questi cambiamenti possono risultare in un trasferimento della tecnologia dal paese innovatore a paesi con grandi mercati e/o costi bassi. Il trasferimento può anche essere associato ai flussi internazionale di capitali sotto forma di IDE.

La teoria del ciclo del prodotto non è stata confermata dalle evidenze empiriche, che mostrano una fotografia molto più complessa della realtà. Pavitt: analizza le molte differenze che sono emerse, relativamente a questa dinamica, tra settori industriali. Ricerca in questo campo ispirata da Nelson e Winter: scopo = sondare il modo in cui i settori differiscono tra loro in termini di dinamiche interne (o “regimi tecnologici”), concentrandosi soprattutto sulle differenze di conoscenze, attori, reti e istituzioni. Risultato importante di questo filone di ricerca i fattori che influenzano l’innovazione sono diversi a seconda del settore e le politiche devono tenere ciò in considerazione, in quanto questo fatto implica che le stesse politiche possono non funzionare ovunque allo stesso modo.

La tassonomia di Pavitt

Normalmente per classificare le imprese in base al grado di innovatività ci si riferisce a quelle high-tech, medium -tech e low-tech. Ma questa distinzione tiene conto solo del grado di R&S, che, sebbene sia un fattore importante di innovatività, non è di certo l’unico: non si possono tralasciare altri fattori, quali un personale di ingegneri qualificati, l’apprendimento attraverso la pratica, l’interazione, e via dicendo. Nel 1984 Pavitt ha perciò ideato una tassonomia, uno schema di classificazione che tenesse conto anche di questi altri fattori, oltre alla R&S. Avendo come riferimento i dati relativi al Regno Unito, ha individuato:

  • Un settore basato sulla scienza, caratterizzato da una R&S organizzata e da stretti legami con la scienza;
  • Un settore caratterizzato da fornitori specializzati (di macchinari, strumenti, ecc.) fondato sulle competenze a livello di ingegneria e sulla frequente interazione con gli utilizzatori;
  • Un settore ad alta intensità di scala (es: mezzi di trasporto), relativamente innovativo, ma che aveva meno ripercussioni sugli altri settori;
  • Una serie di industrie “dominate dai fornitori” di altri settori da cui ricevevano la maggior parte della loro tecnologia.

Scoperta importante dell’analisi di Pavitt: i fattori che contribuiscono a un’innovazione di successo sono molto diversi a seconda del settore che si prende in considerazione alla luce di ciò occorre riconsiderare le politiche volte a favorire l’innovazione: un meccanismo solo (come ad esempio il finanziamento alla R&S) non è sufficiente indiscriminatamente in ogni settore.

Nelson e Winter

Basandosi sulla “razionalità limitata” introdotta da Herbert Simon, introducono una prospettiva teorica più elaborata sul comportamento delle imprese le attività di queste sarebbero dominate da routine che vengono riprodotte attraverso la pratica, come parte di una “memoria organizzativa” delle imprese. Se una routine porta a un risultato insoddisfacente, l’impresa può utilizzare le sue risorse per individuarne una nuova che, se soddisfa i suoi criteri, verrà adottata successivamente (“comportamento soddisfacente” contrapposto a quello “ottimizzante”).

Nelson e Winter prendono poi in considerazione le conseguenze economiche e sociali dell’interazione di gruppi di attori eterogenei. Gli autori mettono altresì in risalto il ruolo del caso (elemento stocastico) nel determinare lo sviluppo dell’interazione, che viene analizzato attraverso simulazioni con le quali gli autori studiano le conseguenze della variazione del valore dei parametri chiave. Nelson e Winter distinguono tra un regime di innovazione, all’interno del quale si dà per scontato che la frontiera tecnologica progredisca indipendentemente dalle attività delle imprese, e un regime cumulativo, in cui il progresso tecnologico è più endogeno e dipende dall’attività delle imprese. Inoltre distinguono le innovazioni e le imitazioni in diversi livelli di difficoltà/facilità.

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