L’impresa innovativa
Le condizioni sociali per un’impresa innovativa
Strategia: in quali mercati penetrare, che strategia competitiva adottare (strategia di prezzo vs tecnologica), a quale quota di mercato puntare • Finanziamento: come gestire il bilanciamento tra risorse proprie e capitale di credito, come gestire il risparmio (scelte di portafoglio), bilanciamento tra dividendi, investimenti finanziari e produttivi • Organizzazione: come utilizzare, combinare e trasformare le risorse (materiali, immateriali e umane) a disposizione…processo di ricerca per ottenere risorse nuove integrabili con quelle esistenti.
Se si guarda al solo processo di generazione ed introduzione dell’innovazione:
- Strategia: scegliere il mercato di prodotti dove si vuole competere e individuare le tecnologie con le quali essere competitivi;
- Finanziamento: fare investimenti per trasformare le tecnologie e poter accedere a mercati che solo in futuro potranno generare introiti;
- Organizzare: mettere insieme le risorse nel tentativo di trasformarle in un prodotto vendibile.
Affinché la combinazione di strategia, organizzazione e finanziamento si traduca in un’innovazione di successo, sono necessarie le conoscenze permettono di trasformare tecnologie e di accedere ai mercati facendo prodotti qualitativamente migliori a costi più bassi.
L’apprendimento è un processo incerto, cumulativo e collettivo:
- Investire nell’apprendimento è una strategia per affrontare l’incertezza insita nel processo innovativo;
- Investire in una forma di apprendimento cumulativo significa impegnarsi a livello economico continuativamente (la conoscenza di oggi dipende da quanto si è appreso ieri);
- Investire in una forma di apprendimento collettivo significa riuscire ad integrare studi diversi all’interno di un’organizzazione.
Impresa innovativa vs impresa ottimizzatrice:
l’impresa ottimizzatrice competenze tecnologiche e prezzi di mercato fissi cerca di max i profitti sulla base di questi vincoli tecnologici e di mercato.
Impresa innovativa cerca di trasformare questi vincoli per ottenere prodotti di maggiore qualità che costino meno e per differenziarsi dalle imprese concorrenti all’interno dello stesso settore.
Il punto di vista di MARSHALL:
• Fortuna (incertezza) • Risparmi e capitale proprio (essenziali nelle fasi iniziali ma centrali anche per ottenere credito ed espandersi nei periodi futuri) • Lavoratori dalle elevate competenze e ‘clima organizzativo’ (in ambito neoclassico si sarebbe detto ‘contratti completi’) • Su questa che Marshall chiama ‘economia delle competenze’ si innesta l’economia dei macchinari che ‘vengono adottati velocemente e costituiscono la base per miglioramenti ulteriori’ • ‘Il successo porta credito e viceversa’ • I beni si pubblicizzano quasi solo in virtù della loro ampia circolazione ed anche il potere contrattuale dell’imprenditore (ad esempio rispetto all’acquisizione di competenze, macchinari e beni intermedi), dato l’aumentata scala del suo volume d’affari, cresce a sua volta.
Secondo Marshall ciò che limitava la capacità di crescere delle imprese, dato questo quadro: un ruolo chiave lo gioca la tendenza al deperimento, lungo le generazioni della capacità manageriale (cruciale per ciò che riguarda la qualità e l’intensità del processo di ricerca, apprendimento e di investimento) • La prima generazione vede l’edificazione di un’impresa di grande successo • La seconda non gode delle stesse caratteristiche e l’impresa comincia a ristagnare (scarsa visione, scarsi investimenti, posizione difensiva, cattivo clima organizzativo) • La terza, che discende ed eredita alcuni tratti della seconda prosegue lungo la china discendente tracciata dalla prima • Se, come sostiene Marshall, con la terza generazione il ‘legame con il fondatore è del tutto reciso, l’impresa soccomberà’…ma potrebbe anche verificarsi un processo trasformativo ed una rigenerazione.
La visione di Marshall in parte coincide con quella di SCHUMPETER riteneva che l’impresa innovativa fosse il risultato dell’opera imprenditoriale di una persona straordinaria. Con il passare degli anni, osservando lo sviluppo delle economie dominanti, cominciò a vedere nella grande impresa il modello dell’impresa innovativa, impegnata in ciò che lui definiva il processo di distruzione creatrice: la creazione di nuovi modi di trasformazione produttiva distrugge le modalità precedenti, che a loro volta erano il risultato di attività innovative passate.
CHANDLER traspone i concetti Schumpeteriani alla realtà dell’economia americana della prima metà del ‘900 mettendo in luce l’importanza della grande impresa e della sua ‘razionalità organizzativa’ quali presupposti dell’innovazione e del successo sul mercato.
PENROSE l’impresa è vista come un’organizzazione che amministra una serie di risorse umane e materiali. Le persone forniscono i loro servizi lavorativi all’impresa, non solo come semplici individui, ma in quanto membri di una squadra che si impegna ad apprendere come poter utilizzare al meglio le risorse produttive dell’impresa, comprese le proprie. L’impresa, grazie a questo apprendimento, è in grado di sfruttare opportunità produttive che le altre imprese non vedono, poiché non hanno accumulato la stessa esperienza. Il sommarsi delle esperienze innovative permette di superare il limite manageriale che, nella teoria dell’impresa ottimizzatrice, è responsabile dell’aumento dei costi e limita la crescita. L’accumulazione di esperienze apre la strada a nuove opportunità e pone le basi per la crescita dell’impresa. Il libro di Penrose è considerata la base teorica per l’impresa che si basa sulle risorse teoria delle risorse incentrata sul ruolo delle risorse di valore che un’impresa ha e che le permettono di distinguersi dalle altre, dandole la possibilità di essere più competitiva, più capace di adattamento.
NELSON E WINTER hanno sviluppato una teoria della persistenza della grande impresa industriale basata sulle capacità organizzative caratterizzate da conoscenze di natura tacita e radicate in routine organizzative, contribuendo ad aggiungere una dimensione cumulativa alla teoria dell’impresa consentono all’impresa di distinguersi.
NELSON sono le differenze organizzative piuttosto che quelle nel controllo di tecnologie specifiche, a essere alla base delle caratteristiche difficilmente imitabili che distinguono un’impresa dall’altra. Le tecnologie, benché specifiche, sono molto più facili da capire e imitare rispetto alle capacità dinamiche che ha un’impresa.
TEECE, PISANO E SHUEN le dotazioni e il patrimonio dell’impresa determinano il suo vantaggio competitivo, e il suo sentiero evolutivo limita le attività industriali nelle quali essa può essere competitiva, ma sono i processi organizzativi che sono in grado di trasformare nel tempo le sue capacità.
LAZONICK descrive l’evoluzione (e l’interiorità organizzata) dell’impresa enfatizzando la natura sociale di quest’ultima ponendo cioè l’accento su chi (non necessariamente individui ma anche e soprattutto collettivi) consente che i processi di ricerca abbiano successo, che l’organizzazione si adatti ai cambiamenti che l’innovazione si manifesti. L’approccio si chiede come e in quali condizioni l’esercizio di un controllo strategico assicura che l’impresa cresca utilizzando processi collettivi, e lungo i sentieri cumulativi che sono alla base del successo competitivo. La prospettiva sottolinea il ruolo del fattore umano nel determinare se ed in che modo l’impresa accumuli capacità innovative e aggiunge una dimensione sociale allo studio delle capacità dinamiche. Il controllo strategico determina in che modo i decisori costruiscono sulle dotazioni dell’impresa; l’impegno finanziario decide se l’impresa avrà a disposizione risorse sufficienti. L’integrazione organizzativa determina la struttura degli incentivi che caratterizzano i processi organizzativi in grado di trasformare le azioni e le capacità individuali in apprendimento collettivo.
Nei settori ad alta intensità di conoscenze, la base di competenze sulla quale investe l’impresa per seguire la strategia innovativa è di centrale importanza per l’accumulazione e la trasformazione delle capacità.
Le caratteristiche e la traiettoria evolutiva della base di competenze si intreccia con la divisione del lavoro (strutturazione gerarchica e distribuzione delle funzioni all’interno dell’organizzazione) interna all’impresa innovativa…il management assume decisioni dal punto di vista della divisione del lavoro (anche) per accrescere la qualità della base di competenze…possibili conflitti tra necessità di governance e di gerarchizzazione delle relazioni, da un lato, e crescita della base di competenze, dall’altro.
Un’impresa innovativa dipende dalle condizioni sociali che la circondano (una ragione delle eterogeneità nelle performance innovative delle imprese), dal controllo strategico e dall’impegno finanziario.
La grande impresa manageriale statunitense
Sia Marshall sia Schumpeter identificano nella difficoltà di preservare la spinta innovativa fornita dall’imprenditore il principale limite alla crescita dell’impresa innovativa…ma per Schumpeter questo limite è superabile separando proprietà e controllo… • Tale separazione è alla base dell’emergere dell’impresa manageriale negli USA e poi nel resto del mondo (stimolo all’innovazione organizzativa interna ed alle prassi di espansione nei mercati, diversificazione e integrazione verticale).
L’esperienza degli Stati Uniti: negli USA le fabbriche erano state fondate nei decenni precedenti da proprietari/imprenditori. Fu Wall Street a organizzare la fusione delle principali aziende operazioni divenute poi note come “offerta iniziale al pubblico” per permettere ai proprietari/imprenditori di poter incassare le loro quote di controllo. A quel punto, molti di loro si ritirarono dalla gestione attiva dell’azienda, e a prendere il loro posto nel ruolo di responsabile delle decisioni strategiche furono manager stipendiati, la maggior parte dei quali era stata reclutata anni prima per aiutare a costruire le stesse imprese innovative che ora controllavano. Fu questo il superamento di ciò che Marshall chiamava il limite imprenditoriale alla crescita dell’impresa. Nella maggior parte delle grandi imprese industriali di successo, la separazione tra proprietà e controllo costituì un forte incentivo a intraprendere la carriera di dirigenti d’azienda. La grande impresa, che dava lavoro a laureati e beneficiava della ricerca universitaria, ebbe un ruolo sempre più attivo nel definire forme e contenuti dell’istruzione universitaria, in modo da soddisfare le proprie esigenze di conoscenza. Le grandi imprese industriali statunitensi tendevano a diversificarsi seguendo nuovi rami commerciali. Queste aziende, avendo successo, potevano utilizzare risorse proprie per finanziare nuovi investimenti in R&S.
Altro ruolo critico dell’organizzazione manageriale riuscire a entrare nei mercati dei prodotti.
La costruzione delle infrastrutture nazionali per il trasporto e le telecomunicazioni diede la possibilità di vendere su mercati di massa erano però necessari anche investimenti complementari nelle capacità di distribuzione. Dalla fine del XIX secolo l’investimento tripartito in produzione, distribuzione e management divenne essenziale per la crescita di un’attività industriale.
Un’altra caratteristica delle organizzazioni manageriali era la netta segmentazione organizzativa tra manager stipendiati e colo che cominciarono ad essere chiamati “lavoratori pagati a ora”.
Sistema americano di manifattura: carenza di manodopera specializzata (data anche l’intensità della domanda) che favorisce lo sviluppo di innovazioni organizzative e di processo, diffusione di consulenti e specialisti tecnici • Nell’ambito del sistema americano di manifattura si sviluppano le tecniche di produzione standardizzata e parcellizzata che riducono la necessità di ricorrere a manodopera altamente qualificata (che in una certa misura continuerà cmq ad essere necessaria soprattutto per la conduzione, il controllo e la manutenzione delle grandi macchine).
Durante la grande depressione degli anni ’30 queste occupazioni stabili scomparvero e i lavoratori semi-qualificati dei maggiori produttori di massa si rivolsero al sindacalismo industriale. Obiettivo raggiunto da quest’ultimo: tutela dell’occupazione a lungo termine per i c.d. lavoratori a ora. L’anzianità era il principio alla base del sistema di promozione a posti con salari più alti e del mantenimento dell’occupazione quando c’erano licenziamenti. In cambio di queste garanzie, i lavoratori sindacalizzati si impegnavano ad accettare un controllo manageriale unilaterale sull’organizzazione del lavoro e sul cambiamento tecnologico. Nella seconda metà del XX secolo le imprese avevano stabilito accordi con la propria forza lavoro sindacalizzata per assicurarsi che le tecnologie venissero utilizzate ampiamente. La debolezza fondamentale di questo modello, che fu resa evidente dalla concorrenza internazionale (Giappone) negli anni ’70 e ’80, era l’impiego di migliaia di addetti alla produzione che non erano integrati nei processi di apprendimento organizzativo dell’impresa. I giapponesi dimostrarono che si potevano creare capacità innovative non solo costruendo un’organizzazione manageriale fortemente integrata, come avevano fatto gli americani, ma anche sviluppando parallelamente le qualifiche dei lavoratori di fabbrica, integrando i loro sforzi all’interno dei processi di apprendimento collettivi dell’impresa.
La sfida giapponese
Le grandi imprese industriali statunitensi riuscirono a sfruttare il boom del secondo dopoguerra per riconfermarsi come i principali produttori mondiali di beni di consumo durevoli come automobili e apparecchiature elettriche. Divennero anche leader nei settori dei computer e dei semiconduttori. Tuttavia, tra gli anni ’70 e ’80 le aziende giapponesi sfidarono le grandi imprese americane nei settori a produzione di massa, nei quali gli USA sembravano aver raggiungo, negli anni ’60, un vantaggio competitivo apparentemente insuperabile. Nell’ultima metà degli anni ’70 le esportazioni giapponesi verso gli USA aumentarono vertiginosamente molti osservatori attribuirono la responsabilità di questa sfida ai salari più bassi che c’erano in Giappone, e al maggior numero di ore lavorate dai dipendenti. Tuttavia, all’inizio degli anni ’80, con i salari reali che continuavano ad aumentare, fu chiaro che il vantaggio giapponese si basava sulla capacità di realizzare prodotti di alta qualità a costi più bassi. Tre istituzioni sociali costituirono la base del sorprendente successo giapponese:
- Partecipazioni incrociate: davano ai manager delle grandi imprese giapponesi il controllo strategico per stanziare le risorse che, opportunamente investite, avrebbero permesso di realizzare prodotti di alta qualità a un costo inferiore;
- Il sistema bancario: forniva a queste società le risorse finanziarie con cui sostenere i costi del processo innovativo fino a quando non fossero cominciati ad arrivare i guadagni;
- Occupazione a vita: dava la possibilità di instaurare un modello nuovo di integrazione gerarchica e funzionale, grazie al quale le imprese potevano utilizzare una vasta base di qualifiche e realizzare un apprendimento collettivo e cumulativo.
Nel 1948 gli zaibatsu, gigantesche holding che avevano dominato l’economia giapponese fino alla seconda guerra mondiale, vengono smantellate spodestate le famiglie proprietari degli zaibatsu e rimossi gli strati manageriali più alti a capo delle imprese e delle principali affiliate. A prendere il controllo delle decisioni strategiche furono dirigenti di terzo rango, originariamente ingegneri presi dalle fila del management intermedio per rivestire posizioni di leadership nelle società, la cui sfida era di trovare mercati non militari per le capacità che queste avevano accumulato.
La comunità dei dirigenti cominciò ad impegnarsi in partecipazioni incrociate. Gli accordi su di esse erano sostenuti dall’intera comunità delle imprese giapponesi, che si impegnavano a non vendere le azioni delle altre imprese che ogni società possedeva (per evitare scalate ostili della vecchia classe imprenditoriale). Le partecipazioni incrociate, definite in senso lato come capitale nelle mani di azionisti stabili, rappresentavano il 60% del capitale sociale in circolazione quotato dalla borsa di Tokyo.
Durante l’era della crescita veloce (’50-’70) la maggior parte dell’impegno finanziario delle società giapponesi proveniva da prestiti bancari. Ogni grande società industriale aveva una banca principale, il cui compito era quello di convincere le altre a fare prestiti alla società e di dirigerne la ristrutturazione in caso di crisi finanziaria. Le banche giapponesi, quindi, ebbero un ruolo critico nel fornire i fondi, ma non ebbero alcuna responsabilità nell’esercizio del controllo strategico.
A monitorare il comportamento degli alti dirigenti delle imprese erano organizzazioni integrate di manager e lavoratori. La modalità principale per raggiungere una tale integrazione era il sistema di impiego a vita. La conquista più importante del sindacalismo di impresa fu l’istituzionalizzazione dell’occupazione a vita, un sistema che dava una tutela occupazionale che all’inizio arrivava fino all’età pensionabile di 55 anni e, dagli anni ’80 in poi, fino a 60 anni; attualmente il limite di età ha raggiunto i 65 anni. Una simile tutela lavorativa fece sì che le imprese si guadagnassero l’impegno a vita dei lavoratori, e fossero incoraggiate a svilupparne le capacità produttive.
Le imprese giapponesi integrarono i lavoratori di fabbrica in un processo di apprendimento organizzativo più ampio che riguardava tutta l’impresa (differenza con USA). I lavoratori giapponesi parteciparono a un processo generale di miglioramento dei prodotti e dei processi che permise alle imprese di emergere come leader mondiali nel campo dell’automazione di fabbrica. Di grane importanza fu anche l’abilità dei produttori nell’eliminare gli sprechi che avvengono durante il processo di produzione.
Tra anni ’80 e ’90 molte imprese europee cercarono di introdurre i metodi giapponesi di produzione di massa.
Successo giapponese legato all’integrazione funzionale problema USA in quanto: 1) segmentazione gerarchica per cui gli ingegneri statunitensi non erano costretti a comunicare tra ambiti di specializzazione diversi per risolvere problemi concreti di produzione. 2) aumento della mobilità degli ingegneri tra imprese emerge l’impresa high tech tipica della new economy ingegneri e scienziati si preoccupavano molto più della reputazione che godevano tra i loro pari nel loro campo di specializzazione e questo impedì loro di integrare le loro conoscenze specialistiche all’interno delle aree funzionali dell’impresa per la quale lavoravano. In Giappone, al contrario, sia l’integrazione gerarchica di manager e lavoratori, sia la scarsa mobilità degli ingegneri favorirono l’integrazione funzionale. Durante gli anni ’90 l’economia giapponese attraversò una fase di stagnazione problema principale: sistema finanziario.
Il modello della new economy
Durante gli anni ’70 e ’80 ci fu una rinascita dei settori americani legati alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) che pose le basi di quello che alla fine degli anni ’90 divenne nota come new economy. Dietro alla nascita della new economy ci furono, nel secondo dopo guerra, massicci investimenti da parte del governo statunitense. Alla fine degli anni ’50 gli investimenti di governo e imprese portarono a realizzare la prima generazione di computer con l’IBM leader nel settore.
Una nuova generazione di fornitori di capitale di rischio, i venture capitalists, finanziò moltissime nuove imprese del settore concentrate intorno all’università di Stanford, una regione che nei primi anni ’70 divenne nota come Silicon Valley. L’innovazione del settore dei semiconduttori e lo sviluppo dei microprocessori posero le basi, verso la fine degli anni ’70, per la nascita del settore dei microcomputer, da cui venne l’enorme crescita del numero di PC nelle case e negli uffici, che rese poi possibile la rivoluzione di internet degli anni ’90.
Al successo di Silicon Valley contribuirono reti di apprendimento spesso informali che andavano al di là dei confini delle singole imprese reti (formali e informali) tra imprese, mobilità di ingegneri e manager favoriscono un rapido processo di apprendimento ed il dispiegarsi di spillover.
Di particolare importanza fu l’estensione dell’apprendimento organizzativo all’interno delle imprese, che permise ad alcune di queste, quelle più innovative, di crescere fino a occupare decine di migliaia di dipendenti, e guidare lo sviluppo della regione.
Anche i finanziamenti statali e le istituzioni universitarie furono di grande importanza nel sostenere lo sviluppo delle tecnologie e la formazione del personale che andava poi a lavorare nelle imprese di questo distretto industriale ad alta tecnologia.
Generalmente, gli imprenditori che fondavano una nuova impresa sul modello della new economy, cercavano finanziamenti con un impegno a lungo termine da parte di VC, con i quali dividevano non solo la proprietà della società, ma anche il controllo strategico. Il VC di solito affidava il compito di trasformare la neonata impresa in azienda consolidata a manager professionisti, a cui si assegnavano azioni della società e diritti di opzione su altre quote del capitale remunerazione basata sulle azioni in particolare in una prima fase favorisce la propensione al rischio ed all’innovazione dei manager + strumento per attrarre talenti e favorire l’integrazione organizzativa chiave della transizione da nuova impresa ad azienda consolidata. Le azioni detenute sarebbero diventate di grande valore se e quando si fossero trasformate in azioni di una società quotata in borsa abbreviare al massimo il periodo di tempo tra la nascita della società e la sua offerta iniziale al pubblico, quotandosi al NASDAQ, il mercato finanziario istituito nel 1971 con requisiti per la quotazione in borsa molto meno rigidi di quelli del New York Stock Exchange. Se e quando un’impresa faceva un’offerta iniziale al pubblico o veniva acquisita da un’altra società quotata in borsa, i VC potevano vendere le loro azioni sul mercato, mentre gli imprenditori potevano trasformare una parte o la totalità delle proprie quote di capitale in denaro contate; i dipendenti che esercitavano i loro diritti di opzione potevano facilmente trasformare le loro azioni in denaro contante. Tra gli anni ’80 e ’90, l’ampio uso delle azioni come forma di remunerazione, divenne una caratteristica distintiva delle imprese nella new economy. Oltre a utilizzare le proprie azioni come forma di remunerazione, alcune società della new economy negli anni ’90, si ingrandirono utilizzandole per comprare altre imprese più piccole e più giovani, in modo da ottenere l’accesso a nuove tecnologie e mercati fu la Cisco a guidare questa strategia di crescita attraverso acquisizioni. Allo stesso tempo, la Cisco manteneva liquidità perché non pagava dividendi, un’altra delle modalità di impegno finanziario che distingueva le società della new economy. L’incredibile crescita della Cisco si verificò senza che la società assumesse alcun debito di lungo termine. Nonostante ciò, con lo scoppio della bolla speculativa della new economy, a metà del 2000, la Cisco spese miliardi di dollari per ricomprare le proprie azioni, i cui prezzi stavano crollando. Riacquisti di azioni proprie per miliardi di dollari avvenivano anche durante il boom, quando i prezzi erano in aumento, e molte imprese della new economy emettevano azioni per effettuare acquisizioni e remunerare i dipendenti.
Alla fine del XX secolo molte società della new economy diventarono grandi aziende consolidate. Le imprese innovative della new economy sono cresciute grazie all’espansione e al miglioramento della loro offerta di prodotti all’interno dei loro principali settori commerciali, senza avviare una diversificazione indiscriminata in tecnologie e mercati diversi; proprio questa strategia aveva invece caratterizzato molte grandi società della vecchia economia negli anni ’60 e ’70 con il risultato di indebolirne la performance. Le società della new economy sono diventate meno integrate verticalmente rispetto alle altre fanno produrre all’esterno le attività che sono troppo costose e complesse per essere realizzate internamente o, viceversa, quelle che sono diventata routine. Alcune delle maggiori società di ICT degli USA sono fornitori di componenti elettronici a monte e la maggior parte è costituita da imprese delle new economy.
Il crollo del settore ICT tra il 2001 e il 2002 ha messo in discussione la sostenibilità del modello della new economy. Una delle debolezze maggiori è negli enormi guadagni personali, che gli alti dirigenti potevano ricavare dai loro compendi in forma di azioni delle società. Quando le quotazioni aumentavano, i dirigenti avevano forti incentivi personali ad investire risorse per incoraggiare il mercato speculativo, ma molte di queste scelte indebolivano le capacità innovative delle imprese stesse. Quando i prezzi delle azioni cominciarono a crollare, gli stessi dirigenti avevano convenienza ad incassare velocemente vendendo azioni; in questo modo hanno accumulato enormi patrimoni anche quando le loro imprese erano in perdita e spesso faticavano a sopravvivere.