Processo terminale settoriale= insieme delle combinazioni produttive che vanno dall’acquisizione dell’input alla commercializzazione dell’output;
sistema economico settoriale= processo terminale settoriale + combinazioni di carattere complementare.
Confine = demarcazione tra le combinazioni produttive che sono considerate interne (make) e quelle che sono esterne (buy) all’impresa. Il confine si qualifica lungo due dimensioni:
- verticale → scelte di integrazione verticale: opportunità di organizzare le combinazioni produttive di un sistema economico settoriale nell’ambito di un’impresa oppure suddividerle tra più imprese e coordinarne i rapporti.
- Orizzontale → diversificazione: come variare la scala produttiva dell’impresa e integrare nella stessa impresa combinazioni produttive non verticalmente collegate che insistono su diversi processi terminali settoriali.
Il confine dell’impresa
si qualifica in relazione alle combinazioni produttive → fattori elementari (oggetti) e flussi di servizi (fatti). Con riferimento ad esse, diversi approcci concorrono a qualificarne il confine:
- un primo approccio considera la visuale di un soggetto osservatore che sulla base delle proprie finalità traccia una linea di confine tra le combinazioni considerate interne e quelle considerate esterne;
- un secondo approccio qualifica il confine secondo la qualificazione delle combinazioni produttive e delle loro relazioni → il confine risiede laddove le relazioni tra i fattori della produzione diventano sparsi;
- un terzo approccio si sofferma sulla discrezionalità manageriale e traccia il confine laddove si modifica il controllo sui fattori elementari della produzione e sui connessi flussi di servizi;
- un ultimo approccio considera vincoli e regole che influenzano le combinazioni produttive; il confine è tracciato laddove i fattori elementari sono soggetti a vincoli che non discendono dall’impresa bensì da altre entità di contesto.
Prendendo gli elementi comuni a tali approcci si qualificano come esterne quelle combinazioni che presentano limitate relazioni e interazioni con le altre combinazioni dell’impresa, il coordinamento tra tali combinazioni e le altre si realizza mediante transazioni di mercato e le regole e i vincoli che presiedono il loro funzionamento discendono e sono espressione di entità diverse dall’impresa stessa → relazioni esterne dell’impresa (es: con i fornitori oppure con una organizzazione commerciale per il collocamento finale del prodotto finito).
Prospettive teoriche nella scelta dei confini di un’impresa
analizziamo le ragioni di convenienza che concorrono alla scelta di quali combinazioni produttive debbano essere svolte all’interno dell’impresa e quali sia più opportuno collocare all’esterno.
Proposizioni invocate nella prassi di impresa ma poi smentite dalla teoria:
- se una combinazione produttiva concorre al vantaggio competitivo dell’impresa, questa dovrebbe essere collocata al suo interno; ma a ben vedere se l’impresa può facilmente reperire sul mercato a costi più contenuti i flussi di servizio connessi con tale combinazione, viene meno la convenienza di integrarla all’interno dell’impresa stessa;
- collocando alcune combinazioni all’esterno l’impresa può economizzare sui costi di produzione; in realtà si realizzerebbe solo uno scambio tra costi di produzione in senso stretto e costi di acquisto, e questi ultimi includeranno il costo di produzione che un fornitore deve sostenere;
- mediante combinazioni interne l’impresa può eliminare il margine di profitto del fornitore; in realtà tale condizione si verifica solo se il produttore ha la disponibilità di fattori specifici della produzione: se viene meno tale disponibilità, l’integrazione di combinazioni produttive porterebbe solo a costi addizionali di produzione senza trarne sostanziali benefici;
- attraverso il make l’impresa sarebbe in grado di limitare gli effetti delle oscillazioni dei prezzi in momenti di alta domanda o scarsità dell’offerta; ma analogo risultato potrebbe raggiungersi con la stipula di contratti a lungo termine per limitare gli effetti di una tale oscillazione.
La scelta deve dunque considerare costi e benefici, ossia la redditività; prospettive teoriche per qualificare benefici e costi associati alle scelte in materia di confine di impresa:
- prospettiva neo-istituzionale: considera rilevanti a tal fine: il differenziale tra benefici netti connessi allo svolgimento di una determinata combinazione produttiva in un’impresa piuttosto che in un’altra e il differenziale tra il costo di organizzazione dell’impresa e il costo di transazione connesso all’uso del mercato; i benefici potrebbero derivare dalla capacità dell’impresa di realizzare, rispetto ad altre, economie di scala (costo medio unitario diminuisce all’aumentare della quantità prodotta), economie di apprendimento (il costo medio unitario diminuisce nel tempo grazie alle conoscenze acquisite dall’impresa con la pratica) ed economie di scopo (la produzione congiunta di due o più beni implica un costo unitario inferiore rispetto a quello che si avrebbe con una produzione separata) svolgendo al suo interno una determinata combinazione produttiva. Un altro beneficio è connesso alle capacità che discendono dalla combinazione di più fattori della produzione, come le capacità di pianificazione e controllo e le conoscenze tecnologiche → maggior efficienza; l’estensione del confine dell’impresa potrebbe però generare anche costi addizionali rispetto a quelli tipici di produzione → costi di organizzazione, che si dividono in (i) costi di coordinamento interno: connessi alla gestione delle interdipendenze tra una combinazione produttiva e le altre→ con l’ampliarsi del confine viene meno la specializzazione dell’impresa e fattori produttivi vengono indirizzati verso molteplici combinazioni, con problemi di interdipendenza; sono costi legati alla variazione del confine dell’impresa ma che allo stesso tempo limitano la possibilità di una sua ulteriore espansione; (ii) costi di agenzia: conflitti di interesse che possono sorgere tra manager delegante e terzo delegato → sforzi che il delegante deve compiere per controllare l’operato del delegato nello svolgimento di una determinata attività; tale controllo è molto difficile da realizzare e tale difficoltà fa accrescere i osti di agenzia; (iii) costi di influenza: sforzi che i vari decisori di un’impresa attuano nei confronti degli organi di vertice per promuovere determinate azioni. d’altro canto, anche l’acquisizione dei flussi di servizio derivanti da combinazioni produttive di altre entità può dar luogo a costi addizionali rispetto a quelli tipici di produzione: costi di transazione: sono tutti quei costi che derivano dall’uso del mercato e originano per definire, negoziare, salvaguardare, gestire e controllare l’attuazione di un contratto. Tali costi si legano a tre aspetti fondamentali: (i) fattori della produzione che hanno natura specifica: un fattore di produzione ha natura specifica se può essere favorevolmente utilizzato solo in un determinato scambio (es: risorse umane addestrate per una specifica produzione e non per tutte le altre) → tale specificità rende difficile l’uso di tale fattore in altri scambi, se non incorrendo in eccessivi costi. (ii) quasi rendite: scaturiscono dall’uso che un’impresa fa di fattori specifici della produzione → esse si ottengono dalla differenza tra il valore di un fattore impiegato nel suo uso corrente e il valore che quello stesso fattore avrebbe se impiegato in un’altra combinazione; visto che il valore di un fattore altamente specifico si riduce se impiegato in altri usi, la sua presenza accresce le quasi-rendite di un’impresa. (iii) in presenza di quasi-rendite si possono creare problemi di hold-up nell’ambito di relazioni esterne: la controparte che impieghi fattori specifici nell’ambito di una data relazione esterna tenderà a volerla mantenere, per evitare i costi che deriverebbero dall’impiego di quel fattore in un’altra relazione esterna; ma la controparte tenderà a modificare le condizioni contrattuali per appropriarsi della quasi-rendita → costi addizionali per migliorare la capacità di negoziazione ex post.
Una combinazione produttiva sarà dunque convenientemente impiegata all’interno di un’impresa se i costi dell’organizzazione sono inferiori ai costi di mercato e se i benefici netti offerti dalla combinazione per l’impresa sono maggiori dei benefici netti potenzialmente generabili dalla stessa combinazione per altre imprese.
- Prospettiva dei diritti di proprietà: collegamento tra il possesso dei diritti di proprietà su un determinato fattore della produzione e l’incentivo delle imprese ad utilizzarli efficacemente ed efficientemente, legato al potenziale di appropriabilità dei risultati connessi all’utilizzo del fattore stesso. I diritti di proprietà su un fattore andrebbero dunque allocati in quell’impresa le cui azioni e decisioni sono in grado di valorizzarlo al massimo.
- Prospettiva del potere di mercato: lo svolgimento di combinazioni produttive all’interno dell’impresa non è legato alla possibilità di migliorarne l’efficacia/efficienza, bensì alla possibilità di accrescerne il potere di mercato nei confronti delle entità di contesto. La ricerca di condizioni di potere di mercato potrebbe però innescare una guerra dei prezzi che farebbe accrescere i costi delle imprese, influenzando negativamente i profitti.
- Prospettiva in un’ottica dinamica: i manager dovrebbero includere nei benefici e nei costi connessi alle scelte in tema di confine, anche i costi di adattamento → i decisori devono tener conto non solo della convenienza iniziale ma anche le implicazioni che una certa configurazione del confine può esercitare sulla capacità dell’impresa a variarne la sua estensione nel futuro.
Benefici integrazione: prevenire il rischio di non poter disporre di input a causa di fallimento del fornitore, reperire input con maggiore tempestività, adattare le caratteristiche dei materiali all’evoluzione della produzione.
D’altro canto, acquisendo i flussi di servizio derivanti da combinazioni di altre entità, l’impresa limiterebbe il suo fabbisogno finanziario, che si accrescerebbe in caso di integrazione a causa della necessità di reperire i fattori della produzione.
l’estensione del confine potrebbe poi derivare da pressioni istituzionali e non da scelte industriali.
L’estensione del confine potrebbe poi essere funzionale all’innovazione: con esso si colmerebbero carenze del mercato laddove quest’ultimo non metta in atto combinazioni produttive nuove per l’incapacità di attribuirle un valore e dunque un prezzo.