A partire dalla primavera del 2002 Israele ha iniziato a costruire un muro per contrastare i “pericolosi attacchi terroristici” dei palestinesi; prendendo come pretesto i numerosi atti violenti che hanno caratterizzato la seconda Intifada.
Il risultato è stato un muro alto più di 8 metri e largo dai 60 ai 150 metri, che si estende per circa 600 km che arriva fino alla città di Betlemme.
Inoltre la barriera non corre lungo la cosiddetta “Linea Verde” (il confine ufficiale tra Cisgiordania e Israele, così come definito dagli accordi del 1949), ma entra prepotentemente all’interno del territorio palestinese, togliendogli ulteriori spazi e annettendoli de facto ad Israele: secondo i dati dell’agenzia ONU OCHA (ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari), il 9,4% del territorio della Cisgiordania è stato isolato dalla costruzione del muro. L’88% del percorso entra in territorio palestinese e la sua lunghezza è quasi tre volte la lunghezza del confine ufficiale, 712 km contro 250. In molti casi assorbe le colonie costruite lungo la linea verde e l’Area C, territorio palestinese controllato da Israele, che rappresenta il 60% dell’intera Cisgiordania.
Chiaramente questa costruzione è una grave violazione sia dei diritti umani sia del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese: infatti, anche se per gli israeliani il muro avrebbe dovuto portare a una diminuzione del 90% degli attacchi terroristici da parte di bombe umane, per i palestinesi, così come per diversi membri della comunità internazionale, questa linea divisoria ha violato numerosi diritti della popolazione palestinese tra cui la libertà di movimento e il diritto all’autodeterminazione oltre ad aver impedito l’esercizio del diritto al lavoro, alla salute, all’istruzione e a un livello di vita sufficiente.
Il governo israeliano non era autorizzato ad espropriare e a sequestrare territori palestinesi per la costruzione di una barriera “protettiva”, e inoltre il percorso su cui si intendeva costruire la barriera di separazione era in contrasto con i diritti di proprietà della popolazione locale e nuoceva alla loro qualità di vita.
Nell’ottobre del 2003 alcuni paesi arabi presentarono all’ ONU la questione relativa alla barriera di separazione. Alla fine dello stesso mese l’Assemblea delle Nazioni Unite condannò la costruzione di “una barriera” gravante sul “territorio palestinese occupato”.
Questa condanna, non essendo vincolante ma costituendo un semplice parere consultivo, Israele non ha considerato questa condanna e così ha continuato la costruzione del muro. Nel dicembre dello stesso anno l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione ES-10/14 in cui si chiedeva alla Corte Internazionale di Giustizia di emettere un parere consultivo sulla legalità del muro che il governo israeliano stava costruendo in Cisgiordania. Il quesito che la Corte di Giustizia avrebbe dovuto sciogliere era il seguente: “Quali conseguenze giuridiche derivano dalla costruzione del muro da parte di Israele, Potenza occupante, nei territori palestinesi occupati, comprese le zone attorno e all’interno di Gerusalemme Est, come descritto nel Rapporto del Segretario generale che prende in considerazione le regole ed i principi di diritto internazionale, compresa la Quarta Convenzione di Ginevra e le rilevanti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e dell’Assemblea generale”.
Nel luglio del 2004 la Corte Internazionale di Giustizia si espresse in questo modo: “L’edificazione del muro che Israele, potenza occupante, sta costruendo nel territorio palestinese occupato, ivi compreso all’interno e sui confini di Gerusalemme Est, e il regime che lo accompagna, sono contrari al diritto internazionale”. Il 20 luglio dello stesso anno, l’Assemblea generale dell’ONU ha adottato la risoluzione ES-10/15, dopo aver preso atto del parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia, esigendo che Israele rispettasse i suoi obblighi giuridici. Ma si sa che a livello internazionale, a meno che lo Stato sotto accusa non sia d’accordo, non è possibile nemmeno dare avvio ad una causa giuridica vera e propria: quindi queste risoluzioni, nonché le dichiarazioni della Corte Internazionale di Giustizia, sono destinate a rimanere semplici ammonizioni.
E infatti la costruzione del muro è continuata e sta continuando. Israele, infatti, ha preferito conformarsi alla sentenza della Corte Suprema Israeliana che ha accettato il diritto alla legittima difesa proposto dallo Stato nonostante i palestinesi accusassero invece Israele di nascondere ragioni politiche dietro la costruzione del muro: la vera causa della barriera non sarebbe la legittima difesa dagli attentati, bensì l’intento di modificare unilateralmente i confini tra le due popolazioni in modo tale da estendere le aree sotto il controllo del Governo israeliano. Accusa ovviamente nemmeno presa in considerazione dalla Corte Suprema Israeliana.
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