Siete brillanti studenti universitari e non volete lasciare la vostra patria, magari per motivi economici o affettivi? Il mondo del lavoro non propenderà dalla vostra parte: è quanto si evince da un articolo pubblicato su “Il fatto quotidiano”.
Stando alle parole del giornalista, basate su uno studio della sezione Educazione e Cultura della Commissione europea del 2014, l’esperienza di mobilità internazionale incrementerebbe lo sviluppo delle cosiddette “soft skills”, ossia caratteristiche legate alla personalità dei laureati, piuttosto che alle loro competenze e conoscenze.
Si sa ormai che la scuola italiana è tra le più difficili al mondo: gli studenti italiani sono più stressati e dedicano maggior tempo alla studio che a tutto il resto. Tutta questa fatica dovrebbe essere ripagata con l’acquisizione di un ottimo bagaglio di conoscenze; bagaglio di conoscenze che non ha nulla a che vedere con quello che si acquisisce in un anno o un semestre di Erasmus.
Questa esperienza non viene sfruttata dagli studenti per approfondire ed incrementare gli studi, quanto piuttosto per arginare le difficoltà che si incontrerebbero intraprendendo lo stesso percorso di studi in Italia. Solo per esemplificare, pensate ad un semestre universitario particolarmente difficile: politica economica e statistica in economia, analisi 2 e fisica 2 ad ingegneria, diritto processuale penale a giurisprudenza, latino a lettere, e via dicendo; non sarebbe fantastico sostenere questi esami all’estero, magari in un Paese noto per la facilità di svolgimento degli esami stessi?
Esami con programmi magari diversissimi da quelli che si sarebbero svolti in Italia, ma puntualmente convalidati in carriera, con buona pace di tutti i “poveri” studenti rimasti in Italia, costretti a studiare notte e giorno per conquistarsi un 18, sicuramente più veritiero e meritato dei tanti 30 regalati all’estero e convalidati su programmi italiani di cui lo studente “Erasmus” non sa assolutamente nulla.
Le Soft skills citate dall’articolo sono così importanti da far passare in secondo piano questo vuoto di conoscenze? Vediamole meglio: sicurezza, curiosità, determinazione, capacità decisionali, consapevolezza dei propri limiti e delle proprie capacità, problem solving e tolleranza. Quindi se uno studente è curioso può fare l’economista senza sapere nulla di politica economica? E solo se uno studente decide di fare l’Erasmus mostra di avere determinazione?
Forse le tanto idolatrate esperienze all’estero stanno portando ad un risultato opposto rispetto a quello sperato: causano brain drain, nel caso in cui lo studente sia effettivamente meritevole e decida di andare a lavorare all’estero, oppure formano una classe dirigente abituata a prendere scorciatoie piuttosto di affrontare gli ostacoli che le si pongono davanti.
Viva l’Erasmus!