Per quanto riguarda il muro costruito da Israele in Palestina, se ne è già parlato in un precedente articolo https://impararecuriosando.org/attualita/il-muro-tra-la-palestina-e-israele/. Qui ci interessa analizzare le sue ricadute socio-economiche, ossia le conseguenze del muro costruito da Israele sull’economia e sulla quotidianità dei palestinesi.
Le conseguenze del muro
Per quanto riguarda l’impatto socio-economico del muro, è sufficiente guardare ai dati dell’Ufficio centrale di statistica palestinese: a causa della sua costruzione ben 30 località vengono separate dai servizi sanitari, 22 dalle scuole, 8 dalle fonti idriche e 3 dalle reti elettriche. Dunque la barriera comporta maggiore difficoltà ad usufruire di un servizio essenziale, quale quello sanitario, e rende ancora più difficile l’accesso alla scuola, che abbiamo visto essere già più complesso in un contesto conflittuale come quello palestinese.
Altro effetto negativo è quello prodotto dalla barriera sull’agricoltura palestinese. Il Land Research Center è un’organizzazione non governativa palestinese che si occupa proprio di monitorare e fornire strumenti legali per la protezione delle terre. Obiettivo, quest’ultimo, certamente non facile da raggiungere: infatti l’accesso agli appezzamenti in Area C è costantemente vietato o impedito con misure diverse, dalla dichiarazione della chiusura militare della zona, all’impossibilità fisica di raggiungerli, anche mediante la costruzione del muro stesso. Se l’accesso è invece sottoposto al rilascio di un’autorizzazione da parte dell’ente israeliano preposto a gestire i territori occupati, molto spesso il suo rilascio non viene concesso, oppure concesso per un periodo non sufficiente a completare la raccolta o la semina, causando la perdita dell’intera produzione. Stessa cosa avviene per i pascoli. In entrambi i casi, impedendo lo svolgimento delle attività di agricoltura e di allevamento, non solo si pregiudicano gli stessi mezzi di sussistenza di molte famiglie palestinesi, ma anche tutta l’attività economica di questo popolo.
Anche se l’accesso alle terre fosse garantito, i palestinesi si scontrerebbero ugualmente con un altro enorme problema: l’approvvigionamento delle risorse idriche, fondamentali per lo svolgimento dell’attività agricola. L’Autorità Palestinese per le Acque (Wafa) ha per esempio denunciato il danneggiamento di un acquedotto che riforniva il territorio palestinese, causato proprio dalla costruzione di una sezione di muro in Cisgiordania. Sono state quindi effettuate diverse proposte al governo israeliano per migliorare il sistema idrico e garantire una quantità sufficiente di acqua a tutti i cittadini; ma tali proposte rimasero inascoltate, e infatti nel 2017 gli israeliani, inclusi i coloni, avevano accesso a 300 litri d’acqua per giorno, secondo la EWASH, l’Organizzazione internazionale dell’acqua e delle fognature, mentre la media per la Cisgiordania era intorno ai 70 litri, sotto alle raccomandazioni minime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, 100 litri al giorno per esigenze sanitarie, di igiene e di alimentazione.
Il muro sembra essere una vera e propria punizione collettiva per i palestinesi: capi di famiglia ridotti alla disoccupazione e le loro famiglie condannate alla miseria. Si stima che circa 200.000 Palestinesi, cioè un terzo della forza lavoro palestinese effettiva, lavorassero in Israele fino al 1999. Dalla Seconda Intifada, però, i permessi di ingresso per i lavoratori palestinesi sono stati molto ridotti, e oggi, secondo l’ONU, il 63% dei Palestinesi vive sotto la soglia di povertà.
È evidente fin da subito la non robustezza delle affermazioni israeliane volte a giustificare la costruzione di questa muraglia; infatti come sottolinea Raya Cohen, una giornalista palestinese, si possono evidenziare almeno due debolezze per quanto riguarda la giustificazione della costruzione del muro fondata sul contenimento del terrorismo palestinese: innanzitutto, come menzionato sugli stessi canali ufficiali israeliani, si tratta di una misura di contenimento estremamente inefficace per contenere il terrorismo: quindi perché attuare una misura così drastica se neppure avrà l’effetto desiderato?
Inoltre si rischia di ottenere l’effetto opposto: rinchiudere milioni di persone in un vero e proprio ghetto, non fa altro che aumentare le tensioni sociali, aumentando la possibilità che esse stesse sfoghino in atti terroristici. Dividere famiglie, spaccate in due dalla costruzione del muro, non è sicuramente la mossa migliore. È chiaro dunque che le vere motivazioni sono ben altre.
E dunque come non riportare le parole tanto attuali dello scrittore Elias Khuri nel suo libro “La porta del sole”: “Questa terra resterà. Non è questione di chi la governerà, tanto governare la terra è un’illusione. Nessuno governerà la terra, visto e considerato che ognuno finirà per esserci sepolto. La terra domina tutti e li riporta a sé.”