Il modello del Big Push (Rosenstein – Rodan, 1943)

In questo modello il sottosviluppo è il prodotto di coordination failure e market failures. Elaborato nel 1943, verrà formalizzato matematicamente solo nel 1989. Il modello propone una soluzione per favorire l’industrializzazione: un big push, ossia una grande spinta guidata dal governo: senza un minimo di risorse da dedicare ai programmi di sviluppo non sarebbe possibile avere un’effettiva probabilità di sviluppo stesso.

Il contesto del modello: coordination failure e market failures

Il profitto di ciascuna impresa dipende dall’attività delle altre imprese –> come avviare un processo di industrializzazione in questo contesto:

  • Chi comprerà le merci prodotte dalla prima impresa che viene costituita? –> i suoi profitti dipendono infatti dalla presenza di compratori, presenza che a sua volta presuppone un’altra impresa che crei occupazione e redditi e produca le altre merci necessarie ai lavoratori (dell’impresa iniziale);
  • Quale impresa formerà i lavoratori per prima? Il training ha infatti un costo elevato, e c’è il rischio che i lavoratori, formati da una determinata impresa, si spostino in un’altra impresa, che, non avendo sostenuti i costi per la formazione dei lavoratori, può offrire a questi ultimi uno stipendio più elevato; così l’impresa che ha formato per prima i lavoratori svantaggerebbe se stessa avvantaggiando invece le concorrenti. C’è dunque disincentivo ad investire in formazione, ma senza lavoratori formati il processo di industrializzazione non può iniziare.

Per eliminare questi ostacoli il modello propone un big push, ossia un grande investimento pubblico, che avrebbe diversi effetti:

  • evitare che il mercato sia troppo piccolo;
  • assicurare gli incentivi a formare la forza lavoro;
  • superare il problema della indivisibilità: gli investimenti necessari a favorire l’industrializzazione sono spesso molto grandi ed indivisibili (es: infrastrutture, fornitura energia, acqua ecc.).

Il big push crea così le condizioni per avviare l’industrializzazione e dunque la futura crescita che sarà in grado di ripagare l’iniziale investimento (l’ipotesi è che dopo il big push il sistema sarà in grado di autosostenersi –> come un aereo che dopo il decollo vola da solo).

Il big push è dunque un programma di sviluppo economico finalizzato a:

  • coordinare industrie che producono beni di consumo, adeguando la produzione all’espansione della domanda e ai modelli di consumo attesi;
  • coordinare le attività produttive con la disponibilità di infrastrutture;
  • tener conto della complementarietà per coordinare le industrie che producono beni di consumo e beni capitali, sfruttando le economia esterne.

Osservazioni critiche:

  • Il modello si basa sul forte intervento pubblico: motivato dalle scarse risorse del settore privato o dalla sua non disponibilità ad investirle;
  • però l’intervento pubblico pone dei problemi: si scontra con le istituzioni molto deboli dei PVS e con la reale mancanza di risorse pubbliche per attuare questo big push; la sua attuazione richiederebbe quindi un alto indebitamento.

Principali critiche:

  • il settore agricolo viene trascurato –> rischi di crisi alimentari;
  • le politiche economiche messe in pratica in questa direzione non sempre si sono rilevate efficaci, risultando piuttosto deludenti.

1 commento su “Il modello del Big Push (Rosenstein – Rodan, 1943)”

  1. Ho trovato molto utile questo articolo, il concetto di BIG PUSH è ben spiegato e sono inserite parole chiave che permettono di approfondire ulteriormente l’argomento. Brava Ilaria!
    Nel mio primo giorno di università ho incrociato nel corridoio il “magnifico” rettore che, con voce stentorea e mimica teatrale, spiegava che ci sono 2 parole in italiano che vengono quasi sempre sbagliate: interdisciplinarità e complementarità. Mi fece molto ridere, poiché ripeteva in continuazione “Non c’è niente da fare, tutti dicono sempre interdisciplinarietà e complementarietà, aggiungendo una E di troppo!”
    Nell’articolo che hai scritto, hai usato la parola “complementarietà”, strappandomi un sorriso, per il ricordo quel buffo rettore [che però aveva ragione] ! 🙂

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